BioforMoz: il partenariato della conoscenza

Il partenariato della conoscenza. È questo l’approccio dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo (AICS) che punta sulla ownership locale dalla progettazione all’implementazione della ricerca, con le università italiane nel ruolo di tutoraggio e assistenza tecnica.

Raccontiamo le storie dei ricercatori mozambicani che hanno vinto le borse di studio per i loro progetti nell’ambito del BioForMoz “Sostegno alla ricerca ambientale” (AID 12089).

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Le emoglobinopatie sono anomalie di origine genetica che si verificano nei geni che codificano l’emoglobina, portando a cambiamenti nella sua struttura o produzione.

L’anemia falciforme e la talassemia alfa (a livello del cromosoma 16) e beta (a livello del cromosoma 11) sono le emoglobinopatie più comuni nel mondo.

Si stima che circa il 5% della popolazione mondiale sia portatore dei geni responsabili di queste emoglobinopatie e che ogni anno nascano tra i 300.000 e i 500.000 bambini con varianti gravi di queste patologie.

L’Africa sub-sahariana è considerata il secondo maggior centro di emoglobinopatie.

Raquelina Ferreira è ricercatrice principale del progetto “Profilo delle emoglobinopatie nei bambini di Maputo. Beira e Nampula”.

“Il controllo delle emoglobinopatie si basa sullo screening dei portatori nella popolazione e dei loro coniugi, sulla consulenza genetica per le coppie a rischio e sulla diagnosi prenatale, nel tentativo di prevenire e controllare il numero di nuovi casi, con quadri clinici più gravi e migliorare le possibilità di sopravvivenza degli individui affetti”, spiega la dottoressa Raquelina che lavora in un team supervisionato dai dottori Francisco Cucca della #UniversitàdiSassari e Luis Madeira della Universidade Eduardo Mondlane (UEM).

Questo studio permetterà la disponibilità di protocolli per l’individuazione dei portatori nei sistemi sanitari, così come la fornitura di un’adeguata informazione alla popolazione su questa malattia, associata alla formazione e alla sensibilizzazione degli operatori sanitari a questo problema al fine di intervenire in modo tempestivo, fare diagnosi più accurate e prescrivere la terapia necessaria senza trascurare il follow-up del paziente nel tempo e ridurre il numero di nascite colpite e, nel caso della malattia falciforme, ridurre la morbilità e mortalità infantile.

Collaborano alla ricerca Maristella Pitzalis dell’Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica (IRGB), Susanna Barella del Centro di riferimento per anemie rare e dismetabolismi del ferro (in età pediatrica e adulta) ed ematologia pediatrica non oncológica dell’Azienda Ospedaliera Brotzu in Sardegna, Denise Brito del Centro di Biotecnologia della UEM, Juliana Ruth Argentina Mutchamua del Laboratorio Clinico dello Hospital Central de Maputo (HCM).

 

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Si celebra il 15 aprile – data di nascita di Leonardo da Vinci – la Giornata della ricerca italiana nel mondo. Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) organizza la giornata della ricerca italiana nel mondo per celebrare i ricercatori e gli accademici italiani all’estero.

Oggi è la loro giornata, nata per ringraziarli e per dare loro una visibile prova che il Paese, pur lontano, è loro vicino.

Giulia Gentile, zoologa, laureata in EcoBiologia alla Sapienza Università di Roma, lavora attualmente al Museo di Storia Naturale di Maputo e, nei laboratori di genetica del Museo, utilizza le tecniche molecolari con l’obiettivo di ottenere un’immagine generale della struttura genetica di popolazione del bufalo africano in Mozambico.

Lo studio della variabilità genetica, all’interno delle popolazioni, fornisce un importante informazione circa la “salute” della popolazione e quindi del suo stato di conservazione. Il bufalo africano che storicamente occupava gran parte dell’Africa sub-sahariana è ora confinato in un mosaico di aree protette, scarsamente collegate tra loro.

In particolare, in Mozambico le popolazioni di bufalo hanno subito una drastica riduzione negli ultimi cinquanta anni sia all’interno che al di fuori delle aree protette.

In questo contesto si inserisce il progetto di ricerca “Population genetics and historical demography of the African buffalo (Syncerus caffer) in Mozambique: conservation and management implications” e coadiuvato dalla Dott.ssa Giulia Gentile de “La Sapienza”Università di Roma quale parte di un team di ricerca congiunto mozambicano e italiano costituito dal Dr. Carlos Bento del MHN UEM, Il Dott. Simone Sabatelli de La Sapienza Università di Roma, il Dott. Paolo Colangelo del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)e la Dott.ssa Elisa Taviani della Università di Genova.

 

Il 7 aprile si celebra la Giornata della donna in Mozambico. In questa occasione si ricorda l’anniversario della morte di Josina Machel (1945-1971), combattente per la libertà ed eroina nazionale del Mozambico.

L’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) saluta tutte le donne mozambicane, sottolineando il loro importante ruolo anche nella ricerca scientifica.

Come la dott.ssa Lucinda De Araújo, laureata in Medicina Veterinaria e con un Master in Biotecnologia, è attualmente responsabile del Dipartimento di Epidemiologia e Diagnosi Molecolare presso il Centro de Biotecnologia da UEM (CB-UEM).

La dottoressa Lucinda è impegnata nella ricerca a Maputo e nelle province di Gaza sulla febbre della Rift Valley, una malattia virale di cui si sa molto poco. La malattia colpisce i ruminanti (ovini, bovini, caprini, ecc.) e l’uomo. Può essere trasmessa all’uomo attraverso il contatto con materiale animale infetto e anche attraverso la puntura di zanzare infette.

La ricerca, finanziata da una sovvenzione AICS attraverso il progetto BioForMoz, mira a creare una tecnica per diagnosticare la malattia utilizzando proteine ricombinanti, che permettano test diagnostici disponibili localmente, facilmente accessibili e poco costosi.

La dottoressa Lucinda lavora in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale d’Abruzzo (IZSAM).

Vale la pena ricordare che la febbre della Valle del Rift è elencata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come malattia prioritaria, in grado di causare future epidemie. L’infezione provoca febbre, cefalea, mialgia e alterazioni epatiche; nel 2% dei casi può verificarsi febbre emorragica. L’ultimo focolaio registrato in Mozambico risale al 2014.

 

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L’Escherichia coli è un importante abitante commensale del tratto intestinale di uomini e animali. La maggior parte dei ceppi è innocua e considerata commensale, tuttavia alcuni di essi sono noti per possedere diverse caratteristiche, tra cui la capacità di essere serbatoi di fattori di virulenza, che li rende capaci di causare malattie.

In Mozambico , le informazioni esistenti sui ceppi di E. coli presenti negli animali e sul loro profilo di resistenza agli antibiotici sono relativamente scarse.

Vanessa Alexandra Comé da Graça, lavora presso il Dipartimento di Diagnostica e Epidemiologia Molecolare del Centro di Biotecnologia della Universidade Eduardo Mondlane, sta lavorando al progetto “Caratterizzazione del profilo di resistenza antimicrobica di ceppi di Escherichia coli isolati in animali domestici che vivono in prossimità di aree di conservazione”.

L’obiettivo è quello di isolare i ceppi di E. coli che circolano nei ruminanti domestici provenienti da zone limitrofe alle aree di conservazione e studiare il loro profilo di resistenza agli antibiotici.

???e? I campioni di feci saranno raccolti da 50 bovini domestici scelti a caso da 10 allevatori situati intorno al Parque Nacional de Maputo, nei mesi di maggio e settembre dell’anno in corso. Dopo il prelievo, i campioni saranno inoculati in acqua di peptone e successivamente coltivati in terreni di coltura differenziali.

Successivamente, saranno sottoposti a estrazione del DNA e il DNA risultante sarà poi utilizzato nel test di reazione a catena della polimerasi (PCR) per la conferma della presenza di geni di resistenza. Il test di sensibilità agli antibiotici verrà eseguito anche con il metodo della diffusione in agar.

I risultati di questo studio permetteranno di conoscere il profilo di resistenza antimicrobica di E. coli negli animali domestici che vivono nelle aree periferiche delle zone di conservazione, contribuendo alla protezione della salute pubblica attraverso l’uso razionale degli antibiotici nella pratica veterinaria. Vanessa da Graça lavora con la professoressa Elisa Tavani della Università di Genova, Italia.

 

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I fiumi e gli effluenti urbani ricevono un ampio spettro di composti chimici come pesticidi, farmaci, ormoni, prodotti per la cura personale, tra gli altri, che vengono parzialmente eliminati durante i processi di trattamento (negli impianti di trattamento delle acque e delle acque reflue) e/o scaricati nei fiumi.

Tuttavia, nemmeno le tecnologie più avanzate sono in grado di eliminarle completamente, per cui finiscono per essere presenti nei nostri rubinetti.

Inoltre, si sa già di più sugli effetti reali dei contaminanti, come gli ormoni, che danneggiano la vita acquatica e umana. Dobbiamo prendere sul serio questi “inquinanti emergenti”!

Joelma Leão Buchir, ricercatrice del Centro de biotecnologia dell’Università Eduardo Mondlane, sta raccogliendo informazioni sui contaminanti, in particolare sulla contaminazione acquatica da composti estrogenici per valutare la presenza di composti emergenti nelle acque superficiali e reflue lungo i fiumi di Maputo, in Mozambico .

Il progetto “Inquinamento ambientale da pesticidi nei fiumi” mira a valutare il livello di inquinamento ambientale dei fiumi da parte di contaminanti emergenti e il livello di esposizione delle popolazioni acquatiche; istituire presso il Centro di Biotecnologie della Universidade Eduardo Mondlane strumenti di laboratorio a supporto dei sistemi di monitoraggio ambientale del Paese; aumentare la sensibilità nazionale verso gli aspetti legati all’inquinamento ambientale e alla biosicurezza, nonché motivare il miglioramento della gestione delle acque e della sorveglianza degli inquinanti.

Joelma Leão Buchir, laureata in Medicina Veterinaria, Master in Ingegneria dei Bioprocessi e Biotecnologie e Dottorato di Ricerca in Biologia Cellulare e Molecolare, collabora con il Prof. Mauro Colombo, della Sapienza Università di Roma, Dipartimento di biologia e biotecnologie “Charles Darwin”, la Sapienza.

 

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La tripanosomosi animale africana è il maggiore ostacolo allo sviluppo dell’allevamento del bestiame in Mozambico . La malattia è causata da protozoi del genere Trypanosoma e trasmessa dalla mosca tsetse, che infesta il 60% del territorio nazionale.

Le misure adottate finora non sono state del tutto soddisfacenti a causa dello sviluppo della resistenza farmacologica e dei costi elevati.

Hermógenes Neves Mucache, della facoltà di veterinaria della Univeristà Eduardo Mondlane, sta lavorando nel distretto di Matutuine nella provincia di Maputo per esplorare alternative innovative, sostenibili ed economicamente valide per i piccoli e medi agricoltori per trarne beneficio economico.

Il progetto è lo ” Studio longitudinale per valutare le strategie per il controllo integrato della tripanosomosi animale selvatico-domestico nel Parco Nazionale di Maputo”.

Hermogénes Neves Mucache lavora con Cesare Cammà, dello Istituto Zooprofilattico Sperimentale Abruzzo e Molise “G. Caporale” Teramo“.

Il loro obiettivo è quello di valutare nuovi approcci e strumenti innovativi per controllare la tripanosomosi, in particolare l’uso di una strategia di controllo integrato.

????? Combinando l’uso di dispositivi impregnati di insetticida; il trattamento selettivo degli animali positivi alla tripanosomosi; l’irrorazione del bestiame con deltametrina e la sverminazione strategica contro gli elminti nelle mandrie situate nella zona cuscinetto e all’interno del Parco Nazionale Maputo.

Alla fine di questo progetto, ci si aspetta che i dati generati possano fornire nuovi strumenti di controllo e quindi contribuire ad aumentare la produzione e la produttività del bestiame nel paese, soprattutto nelle aree infestate dalla mosca tse-tse.

 

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Il mais è una coltura importante ed essenziale per la sicurezza alimentare nell’Africa sub-sahariana. In Mozambico, la coltura è la seconda più prodotta dopo la cassava, essendo prodotta principalmente nelle regioni centrali e settentrionali del paese.

Tuttavia, a livello continentale la produzione è diminuita a causa di diversi fattori, tra cui gli stress biotici, di cui possiamo evidenziare la comparsa della malattia chiamata Maize lethal necrosis dehydration disease (MLND), che può portare a perdite fino al 100% seguendo l’esempio di paesi come Kenya, Tanzania e Uganda.

La MLND è causata dalla coinfezione del Maize chlorotic mottle virus (MCMV) e del Sugarcane mosaic virus (SCMV). Come malattia devastante, la presenza della MLND in Tanzania, un paese vicino al Mozambico, indica una potenziale minaccia alla sicurezza alimentare. Quindi, è importante rafforzare il sistema di quarantena e sorveglianza sanitaria nazionale, con strumenti forti per l’individuazione e la caratterizzazione accurata di MLN e virus correlati, al fine di contribuire alla sicurezza alimentare del paese.

Marilia Orlanda Marta Mazivele Titoce, del Centro di Biotecnologia dell’ Università Eduardo Mondlane, sta lavorando per il suo dottorato di ricerca al progetto “Establishment of diagnostic techniques for detection of Maize lethal necrosis Disease (MLND) and related viruses in Central and Northern Mozambique”, sotto la supervisione di Massimo Turina, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante Sede Istituzionale di Torino.

L’obiettivo è difendere il mais, contribuendo alla diagnosi di MLN e virus correlati (MCMV e SCMV), attraverso l’istituzione di tecniche diagnostiche molecolari e sierologiche di MLN e virus correlati e la loro caratterizzazione molecolare, al fine di fornire una risposta rapida ai casi di presenza del virus nel paese e sulla base di analisi filogenetiche è possibile identificare i ceppi circolanti.

 

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Il colera è una malattia diarroica causata dal batterio Vibrio cholerae con un alto potenziale di causare epidemie. In Mozambico , come in diversi Paesi dell’Africa meridionale, il colera è endemico ed è stato rilevato per la prima volta nel 1970.

Sebbene sia noto come patogeno umano trasmesso attraverso l’ingestione di cibo o acqua contaminati, V. cholerae fa parte della flora naturale dell’ambiente acquatico e può sopravvivere nei bacini acquatici in varie forme e associato a zooplancton, copepodi o altri ospiti acquatici naturali o formando biofilm che gli conferiscono una maggiore resistenza agli stressor ambientali.

Il ruolo dell’ambiente acquatico nell’evoluzione dei ceppi epidemici di V. cholerae è ancora una questione aperta, in particolare l’esistenza di serbatoi ambientali acquatici persistenti per V. cholerae O1 e il modo in cui questi influenzano l’epidemiologia della malattia sono ancora oggetto di discussione.

Amélia Halila Mondlane Milisse, ricercatrice presso il Centro di Biotecnologie della Universidade Eduardo Mondlane (UEM), sta svolgendo una ricerca sull'”Evoluzione genomica di Vibrio cholerae nell’ambiente acquatico delle aree colpite dal ciclone IDAI in Mozambico”.

Una ricerca i cui risultati attesi aggiorneranno anche le autorità comunitarie locali, nazionali e mondiali sullo stadio e la distribuzione del colera negli ecosistemi acquatici, dal momento che mancano dati sulla presenza di questi patogeni nelle acque del Mozambico, sovvenzionando possibili azioni di sorveglianza sanitaria.

La ricerca – condotta in collaborazione con la Università di Genova e Instituto Nacional de Saúde – Moçambique – si propone di valutare la presenza di V. cholerae O1 nell’ambiente acquatico di un’area fortemente colpita da un’epidemia di colera in seguito al ciclone IDAI, e di indagare la relazione con V. cholerae O1 non epidemico isolato dallo stesso ambiente, per chiarire la possibilità che il ceppo epidemico sia persistito e presumibilmente evoluto nell’ambiente acquatico.

A tal fine, verranno utilizzati metodi microbiologici e molecolari (PCR in tempo reale, sequenziamento dell’intero genoma) per l’identificazione dei ceppi di V. cholerae O1 e non O1. Le sequenze dei ceppi isolati nei precedenti database dei focolai esistenti presso l’ Instituto nacional de Saúde saranno incluse nello studio per determinare la loro relazione con i ceppi ambientali isolati dopo l’IDAI.

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Carlos Bento è ricercatore presso il Museo di Storia Naturale della Universidade Eduardo Mondlane, a Maputo, e si occupa di aspetti della conservazione della biodiversità, in particolare dei vertebrati terrestri. Attualmente sta lavorando alla biogeografia della fauna terrestre in Mozambico , tenendo conto della genetica delle specie coinvolte. Questo approccio mira a sostenere i vari programmi di ripopolamento in corso e a coinvolgere le specie che hanno subito una drastica riduzione delle loro popolazioni a causa della guerra civile che ha colpito il Paese per circa 16 anni.

Il progetto approvato riguarda “Genetica della popolazione e demografia storica del bufalo africano (Syncerus caffer) in Mozambico: implicazioni per la conservazione e la gestione”.

L’obiettivo fondamentale del progetto è quello di comprendere la diversità genetica e la distribuzione delle diverse popolazioni di bufalo africano in Mozambico, ed è stato selezionato dalla borsa di studio nell’ambito del “Sostegno alla ricerca ambientale – BioForMoz” (AID 12089), finanziato dalla Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS).Potrebbe essere un'immagine raffigurante animale e erba

Lo studio convenzionale della genetica del bufalo e di altri mammiferi terrestri prevede la raccolta del campione attraverso l’estrazione di sangue o tessuti. Questo metodo è estremamente costoso perché comporta l’acquisto di farmaci, di una pistola a dardi per immobilizzare gli animali, il noleggio di un elicottero e altri costi aggiuntivi. Per aggirare questa impasse, in Mozambico si sta testando un metodo non invasivo per isolare il DNA dalle feci dei bufali africani.

Anche questo metodo presenta delle sfide, in quanto si basa sull’esperienza del ricercatore o del raccoglitore per identificare con precisione le feci, assicurarsi che siano fresche, in quanto il colpo di calore degenera il DNA, e anche la necessità di garantire un sistema di raffreddamento per mantenere la qualità dei campioni fino al trasporto in laboratorio.

Tuttavia, non c’è dubbio che questo metodo sia meno costoso e che le feci possano essere trovate seguendo le impronte dell’animale senza grandi costi monetari.

Questo studio genetico è fondamentale perché guiderà il Paese nel processo di traslocazione degli animali, seguendo i requisiti che garantiscono la conservazione dell’integrità genetica delle popolazioni. Carlos Bento lavora in collaborazione con la Sapienza Università di Roma e Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri – CNR.

 

 

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